No, 0.4!
L’upgrade a colpi di lucchetto.
L’ultima frontiera dell’innovazione scolastica.
Ho visto sui social qualche insegnante entusiasta per il nuovo “oggetto” installato nelle scuole:
l’armadietto dove chiudere a chiave gli smartphone degli studenti.
Da quest’anno, come previsto dal Ministero dell’Istruzione, questa misura è realtà.
L’intento ufficiale è chiaro e in parte condivisibile: più concentrazione, relazioni più autentiche, meno schermi a distrarre.
Ma davvero basta un lucchetto per educare?
La storia ci ricorda che ogni nuova tecnologia, dalla stampa alla televisione, è stata vista come una minaccia.
Secondo me non è vietando che si costruisce consapevolezza, ma INSEGNANDO.
E qui sta il punto: gli insegnanti le occasioni per formarsi le hanno avute.
Bonus docenti, PON digitali, corsi di aggiornamento e piattaforme dedicate: negli ultimi anni non sono mancati.
Molti li hanno sfruttati, ma ho l’impressione che non abbiano colto l’essenza.
E tanti altri non ne hanno proprio approfittato, preferendo destinare risorse e tempo ad altro.
Il risultato?
Oggi la via più semplice sembra chiudere gli smartphone a chiave invece di integrarli nella didattica.
Ma la vera preoccupazione è un’altra: se oggi si chiudono i telefoni, domani cosa si chiuderà?
Eppure basterebbe informarsi un po’ per capire come questi strumenti possano diventare alleati e portare benefici a tutti.
Educare significa guidare: aiutare i ragazzi a capire quando e come usare lo smartphone, a farne un alleato per lo studio e non solo un passatempo.
Se ci si limita a toglierli, senza pretendere di integrarli nella didattica, a chi delegheremo l’insegnamento di un uso consapevole?
Agli algoritmi?
Alle piattaforme social?
Gli armadietti possono custodire i telefoni.
La responsabilità di crescere cittadini digitali, quella no: resta nelle mani della società che circonda questi ragazzi, ma soprattutto in quelle di chi insegna.
