Dalla vita di tutti i giorni ai conflitti globali
Viviamo in un’epoca in cui l’intolleranza non si manifesta solo nelle TV o nella rete internet, con immagini di guerre, conflitti religiosi ed etnici. È presente anche nelle nostre giornate più ordinarie: nel desiderio di correggere il vicino, “rieducare” il partner, programmare i figli come se fossero software.
Il fanatismo, come ricorda lo scrittore israeliano Amos Oz, nasce proprio da questo impulso: costringere gli altri a cambiare per adattarli alla nostra idea di “giusto” o “migliore”.
Dai litigi di condominio alle crisi internazionali, la radice è sempre la stessa: l’incapacità di accettare che esistano verità, culture e modi di vivere diversi dai nostri. Eppure, disarmare l’intolleranza è possibile.
Non richiede trattati complessi o summit planetari, ma un atto di umiltà quotidiano: lasciar vivere.
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La sindrome del “devi fare/essere così”
È un disturbo più diffuso del raffreddore a gennaio: la convinzione che, se l’altro fosse un po’ più come noi lo immaginiamo, la sua vita andrebbe molto meglio.
• Il vicino dovrebbe credere alla religione giusta (cioè la nostra).
• Il partner dovrebbe avere le nostre stesse idee, perché “se le capisse bene” sarebbe d’accordo.
• Il fratello dovrebbe sposare “una persona come si deve” e non “quella lì”.
• I figli dovrebbero pensare come noi… così da evitare il rischio che, un giorno, diventino diversi.
E guai a lasciarli semplicemente… essere.
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Questa mania non si ferma alla famiglia o al condominio: diventa lo stesso meccanismo che muove conflitti religiosi ed etnici in ogni angolo del pianeta.
Guerre che si accendono perché qualcuno pensa di avere il copyright sulla verità e sente il dovere di “illuminarne” gli altri, magari a colpi di bombe.
O governi che vogliono ridisegnare confini e identità per “rendere migliori” popoli interi, cancellandone lingua, cultura, fede.
La dinamica è identica: io ho ragione, tu devi cambiare.
Fine della storia.
O meglio: inizio della tragedia.
Sono le buone intenzioni che ci fregano.
Il guaio è che tutto questo si presenta con un biglietto da visita elegante: per il tuo bene.
“Se ti obbligo a credere come me, ti salvo l’anima.”
“Se ti insegno a vivere come la mia gente, ti do dignità.”
“Se ti libero dalle tue idee sbagliate, ti faccio un favore.”
Tradotto: così diventi più simile a me, che sono l’unità di misura del mondo.
Non si tratta di abdicare ai nostri valori o di essere indifferenti alle ingiustizie.
Si tratta di distinguere tra ciò che è difendere la dignità umana e ciò che è imporre un modello, una fede, un’identità.
È un’arte rara: richiede di smettere di vedere le persone come progetti difettosi da correggere e cominciare a vederle come storie complete, che hanno senso anche se non le capiamo fino in fondo.
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Finché continueremo a pensare che la pace si ottenga “aggiustando” gli altri, non la troveremo mai.
La pace vera nasce dal riconoscere che si può convivere senza essere uguali, che due verità possono coesistere senza annullarsi, che la differenza non è una malattia da curare ma un orizzonte da esplorare.
In un mondo che brucia per conflitti etnici e religiosi, il gesto più rivoluzionario e disarmante che possiamo fare è il più semplice:
lasciar vivere.
Non come resa, ma come scelta consapevole di disinnescare la miccia dell’intolleranza prima che arrivi alla polvere da sparo e alle bombe.
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Il mondo non si cambia a colpi di imposizioni, né si migliora forzando gli altri a somigliarci. La storia, quella che leggiamo sui libri e quella che viviamo tra le mura di casa, ci insegna che il fanatismo, in tutte le sue forme, nasce dalla stessa illusione: che la pace si ottenga piegando l’altro alla nostra verità.
Disarmare l’intolleranza significa ribaltare questa logica. Vuol dire scegliere la curiosità al posto del giudizio, il dialogo al posto dell’ordine, il rispetto al posto dell’omologazione.
Non è un atto di resa, ma di forza: la forza di guardare un’altra cultura, un’altra fede, un’altra opinione e dire “non è la mia… ma può stare accanto alla mia senza minacciarla”.
Dal salotto di casa alle Nazioni Unite, il primo passo per disinnescare le guerre, piccole o grandi che siano, è lo stesso: lasciar vivere.
E forse, se iniziassimo da qui, scopriremmo che la pace non è un’utopia, ma una possibilità che comincia ogni volta che decidiamo di non premere il grilletto… nemmeno quello delle nostre convinzioni.
