Il nuovo “giocattolo” di Instagram


Avrai visto anche tu la novità: la mappa di Instagram.
“Guarda dove sono gli amici! Scopri posti nuovi! Condividi i tuoi momenti!”
Sembra innocente, vero?
E invece no.
Perché mentre tu pensi di giocare con la mappa… è la mappa che gioca con te.

Dietro quella simpatica schermata colorata, che ti fa sentire parte del mondo, si nasconde una macchina che raccoglie dati come un aspirapolvere acceso. Ogni tuo spostamento, ogni locale dove metti piede, ogni foto con tag geografico diventa un piccolo tassello del grande puzzle che descrive chi sei, dove vai, e con chi lo fai.

Insomma: mentre credi di “essere social”, stai solo regalando informazioni preziose a chi ci fa business.

Ti ricordi Foursquare? Quella vecchia app dove facevi il “check-in” nei locali?
Era il 2009 e sembrava una moda divertente. Ti sentivi moderno, connesso.
Oggi non c’è più bisogno di dire dove sei: lo sa già Instagram, anche se non gliel’hai detto esplicitamente.

Il problema non è la mappa in sé, ma il fatto che la condividiamo senza pensarci, come se fosse normale.
Ma “normale” non vuol dire “innocuo”.
Significa che, piano piano, ci hanno abituato a essere tracciati.

Non per malizia per abitudine.
E quando la sorveglianza diventa abitudine, la libertà smette di essere una scelta.

Meta (cioè Facebook, Instagram, WhatsApp… insomma sempre loro) ci dice che tutto avviene col consenso dell’utente.
E qui viene da ridere.
Perché sì, tecnicamente accettiamo. Ma quanto capiamo davvero di quello che accettiamo?

Diciamolo: nessuno legge le condizioni d’uso.
E anche se le leggessimo, servirebbe un dottorato in giurisprudenza per capirle.
Così, clicchiamo “accetta” e via.
Un gesto piccolo, ma potentissimo: in quel momento firmiamo, senza penna, il contratto della nostra tracciabilità.

E la cosa buffa (o tragica, scegli tu) è che lo facciamo per non “scomparire”.
Perché se non condividi, sembri invisibile.
Ma a forza di voler essere visibili… rischiamo di diventare trasparenti.

Non siamo più noi a guardare la mappa.
È la mappa che guarda noi.
E mentre ci fa credere che stiamo “esplorando il mondo”, in realtà è il mondo delle piattaforme che sta esplorando noi, centimetro per centimetro, like dopo like.

Il vero prodotto, ormai, non è l’app: siamo noi.
Le nostre abitudini, i percorsi, gli orari, persino i locali dove andiamo a prendere il caffè diventano dati da vendere, analizzare, rivendere.

E non serve essere paranoici per capirlo: basta guardare quante volte Instagram ti mostra un ristorante “vicino a te” proprio dopo che ne hai parlato con un amico.
Coincidenze? Sì, come Babbo Natale.

Una volta le mappe servivano a orientarsi.
Oggi servono alle piattaforme per orientare noi.
Non viviamo più nei luoghi, ma nelle loro versioni digitali.
Non incontriamo persone, ma profili.
Ogni posto diventa uno sfondo, ogni foto una prova della nostra esistenza.

E mentre crediamo di vivere “più connessi”, in realtà viviamo più esposti.
Condividiamo la nostra posizione come se nulla fosse, dimenticando che anche un malintenzionato, o un algoritmo troppo curioso, può usarla per sapere dove siamo e quando.

E così la nostra “presenza digitale” diventa una specie di GPS dell’anima: preciso, aggiornato, e soprattutto… pubblico.

Non basta “mettere la spunta sulla privacy”.
La sostenibilità digitale non è un’impostazione: è un modo di pensare.
Significa chiedersi: sto scegliendo io o qualcuno ha scelto per me?
Significa capire che ogni “ok” dato di fretta è un pezzetto della nostra libertà che regaliamo via cloud.

Non serve disattivare tutto o scappare offline.
Serve accendere la consapevolezza.
Capire che le piattaforme non sono cattive in sé, ma vivono dei nostri dati.
E se non impariamo a gestirli, sarà sempre qualcun altro a farlo per noi.

Instagram Map non è solo una funzione nuova.
È uno specchio.
Ci mostra quanto siamo diventati prevedibili.
Quanto abbiamo confuso libertà con visibilità, partecipazione con condivisione, prossimità con controllo.

La soluzione?

Semplice: non spegnere la mappama accendere il cervello.
Perché la mappa non è il territorio, e se continuiamo a seguirla ciecamente, rischiamo di perderci anche quando Google ci dice “sei arrivato a destinazione”.

Quando apri la mappa di Instagram, chiediti:

“Sono io che sto guardando dove sono gli altri, o sono gli altri che stanno guardando dove sono io?”

La risposta, te lo garantisco, vale più di mille like.