6 agosto 1945, ore 8:15.
Lo ricordo come fosse ieri: avevo i capelli sudati, la pelle appiccicosa e un gelato al limone in fase di scioglimento rapido sulla mano sinistra. Era un’estate qualsiasi, probabilmente gli anni ’80, sicuramente una radio accesa.
E da quella radio, tra “Vamos a la Playa” e “Self Control”, partì una canzone diversa.
Un ritmo elettronico, una voce secca, dritta, senza fronzoli:
“Enola Gay, you should have stayed at home yesterday…”
Io, che pensavo fosse la storia di una fidanzata fuggita di casa o di un’auto giapponese, non ci capii molto. Ma la melodia entrò subito in testa.
Ballabile. Orecchiabile. Allegrissima.
Solo anni dopo, con meno limone sulle mani e un po’ più di neuroni attivi, scoprii che non era affatto una canzoncina estiva: era una canzone sulla bomba atomica.
Sì, proprio quella.
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L’aereo con il nome della mamma
Enola Gay non è un nome di fantasia. È il nome vero dell’aereo B-29 che il 6 agosto 1945, alle 8:15, sganciò la bomba atomica su Hiroshima.
Il pilota, Paul Tibbets, scelse di chiamare l’aereo come sua madre. Una scelta che, nella classifica delle decisioni discutibili della storia, non so proprio dove posizionare.
L’ordigno a bordo si chiamava “Little Boy”, ma il risultato fu tutto tranne che piccolo:
– Oltre 78.000 morti all’istante
– Una città rasa al suolo
– E l’inizio dell’epoca in cui l’uomo può autodistruggersi con un clic.
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Ma torniamo agli OMD
Nel 1980, mentre l’umanità balla su cubi colorati in tuta lucida, gli Orchestral Manoeuvres in the Dark (OMD) – gruppo britannico che più che un nome sembra una password WiFi – tirano fuori una bomba tutta loro, ma musicale.
“Enola Gay” è un brano che ti frega. Ti fa ballare mentre ti parla di morte. Ti fa canticchiare la distruzione con un sorriso.
“Enola Gay, is mother proud of little boy today?”
(Enola Gay, la mamma è fiera del suo piccolo ragazzo oggi?)
Non serve essere laureati in storia per capire l’amara ironia.
La “mamma” è fiera del figlio che ha portato la morte.
E la musica, sotto, sembra fatta per accompagnare un videogioco anni ’80.
Un contrasto geniale. E ancora oggi incredibilmente attuale.
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🕰️ 8:15. Sempre la stessa ora
Il testo dice:
“It’s 8:15, and that’s the time that it’s always been”
(Sono le 8:15, e quella è sempre stata l’ora esatta)
A Hiroshima, molti orologi si fermarono davvero in quell’istante.
Orologi fusi, bruciati. Ma ancora oggi esposti nei musei, testimoni silenziosi di un attimo che non può essere dimenticato.
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Hiroshima non è solo storia
Certo, potremmo dire che è “passato”. Che oggi siamo più consapevoli. Più civili. Più evoluti.
Poi però guardi certi leader con il dito sul pulsante rosso, certi algoritmi che decidono chi è nemico, certi droni che non sbagliano (ma in realtà sì)…
e ti chiedi: non è che stiamo solo aspettando un nuovo 8:15?
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Perché ascoltare Enola Gay oggi?
Perché è una lezione di educazione civica travestita da hit estiva.
Perché ti ricorda che la storia non è noiosa, è solo mal raccontata.
E perché, se anche una canzone del 1980 riesce ancora a farci riflettere sulla guerra, forse vale la pena ascoltarla. E riascoltarla. E magari, la prossima volta, fare qualcosa di diverso.
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Morale della favola?
Se vedi un aereo con un nome da signora che si avvicina troppo al centro città, non è una buona notizia.
E se senti una canzone che ti fa ballare con la morte, forse è ora di alzare il volume. E il pensiero.
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“This kiss you give, it’s never ever gonna fade away…”
(Questo bacio che dai, non svanirà mai…)
E no. Non svanisce. Ma possiamo scegliere di non ripeterlo.
